Perchè il mercato degli eSport continua a crescere in maniera esponenziale

Si è concluso da pochi giorni a New York il Mondiale di Fortnite, il popolare gioco (o meglio, eSport) che, in meno di due anni, ha conquistato oltre 250 milioni di persone in tutto il mondo. I vincitori sono il 16enne Kyle “Bugha” Giersdorf, per la modalità “solo”, “Nyhrox” e “Aqua” nel duo. Il primo premio per ogni categoria ammonta a 3 milioni di dollari. Anche l’Italia ha partecipato alla Fortnite World Cup 2019, ottenendo il sesto posto a squadre con Edoardo “Carnifex” Badolato nel team Llama Record. Il premio per lui è di 62.500 dollari. Fortnite è solo un esempio di eSports, competizioni solitarie o in team sui videogiochi. La proposta di farli diventare disciplina olimpica genera discussioni: strano paragonare ragazzi seduti al computer ad atleti che sudano. Per gli eSports però servono allenamento, concentrazione, abilità strategica, destrezza e attitudine al lavoro in team. I campi da gioco sono virtuali, ma anche fisici: eventi e tornei, gremiti da migliaia di appassionati che tifano, sono anche dal vivo.

Un mercato in piena crescita

I giocatori o streamer sono giovani dai 12 ai 18 anni (per eSports come Fortnite) tra i 16 e i 18, per Clash Royal (battaglie non cruente), tra i 25 e i 30 e oltre per altri (come Counter Strike, detto CS:GO, uno “sparatutto”). Un popolo che non legge i giornali e non guarda la tv, ma frequenta community dedicate al gaming, come Twich, e social come YouTube o Instagram, dove segue gli streamer preferiti. I giocatori migliori diventano influencer della generazione che li supporta, ne impara segreti e abitudini, li emula. Anche nelle scelte di immagine e negli acquisti. È un ghiotto mercato per le aziende, che vogliono raggiungere consumatori impermeabili al marketing tradizionale, promuovere brand, sponsorizzando siti, giochi, eventi, creando team, producendo giochi e tornei, dove ci sono in palio migliaia di euro. Un esempio? Il montepremi della Fortnite World Cup è di 100 milioni di dollari. Le cifre del settore sono impressionanti. Nel 2019 raggiungerà ricavi per circa 1,1 miliardi di dollari, con una crescita del 26,7% in un anno. E potrebbe triplicare nei prossimi tre anni.

Opportunità per chi vuole fare impresa

Occuparsi di eSports richiede competenze e conoscenza diretta della psicologia dei gamer e delle loro community. «Tre gli ambiti per l’impresa» spiega Matteo Masini, uno degli ideatori del Master in eSports management. «1) L’organizzazione di eventi e competizioni. 2) La creazione e gestione di un team, che partecipa ai tornei e alle finali (dal log ai valori identificativi, dalla ricerca sponsor alla comunicazione e al merchandising), compresi i pro-player, i giocatori immagine, con un ruolo di influencer. 3) Avviare una piattaforma, come Twich, nata per lo streaming di videogiochi, poi acquisita da Amazon. È un social network che lega la community dei giocatori di uno stesso eSport, cresce più di Facebook (più di 15 milioni di utenti attivi al giorno e un milione di utenti online a qualsiasi ora, più di Cnn ed Espn), ha canali tematici e giochi, offre video di chi gioca, come YouTube, seguitissime dai fan, che supportano i loro idoli con consigli, domande, donazioni. Poi ci sono le piattaforme per giocare, come l’italiana Faceit, diventata internazionale, con 10 milioni di utenti».

Si possono anche sviluppare giochi, ma non tutti i game sono eSports. «Devono avere un regolamento stabile, permettere interazione, competizione e avere grande diffusione. Esempi? Sparatutto tattici, giochi sportivi, che assomigliano alle competizioni reali (gare auto, moto, con punteggi, circuiti), calcio. Altro ambito di business riguarda le sponsorizzazioni: come manager, si lavora sul business project, facendo interagire le aziende con gli eSports».

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